Aiuti umanitari per il Venezuela bruciati oltre confine: non da Maduro, ma dal rivale Guaidò, con l’obiettivo di incolpare il governo di Caracas. E’ la stampa Usa ad accusare lo stesso Guaidò (e Washington) sia per l’auto-distruzione degli aiuti che per il drammatico blackout inflitto al Venezuela, con almeno 14 pazienti deceduti negli ospedali. Le denunce del “New York Times” e di “Forbes”, scrive Gennaro Carotenuto sul suo blog, attestano che in Venezuela la guerra è già cominciata, e che le false notizie dominano incontrastate la costruzione dell’opinione pubblica. «Le guerre di nuova generazione fanno morti come e più di quelle che si combatterono con la clava, la balestra o il fucile Chassepot», scrive Carotenuto. «Rispetto alla gravità del blackout in Venezuela, ai media italiani è piaciuto a scatola chiusa sposare la tesi dell’inettitudine chavista», dato che i chavisti «sono per definizione tutti incapaci, sanguinari e corrotti». Al contrario, «vari media statunitensi hanno preso molto sul serio e considerano credibile che il blackout in Venezuela sia stato causato da un cyber-attacco informatico Usa». Se così fosse, aggiunge Carotenuto, «saremmo di fronte a un atto di guerra», nell’ambito di un conflitto “di quarta generazione”. Tanto per chiarire: «Fossero stati gli hacker russi, parleremmo di terrorismo».

Visto che invece i presunti autori del sabotaggio sono gli statunitensi, bisogna parlare di iniziative belliche «nelle quali viene bypassata la forza militare tradizionale per usare azioni di carattere economico, culturale e psicologico, in particolare usando l’informatica». Un attacco informatico così ben portato e riuscito, spiega Carotenuto, aggirerebbe infatti il veto del Brasile, contrario a una guerra tradizionale: veto al quale il vice di Trump, Mike Pence, «ha dovuto chinare il capo». Ma un simile attacco indurrebbe anche a pensare che, per la prima volta, Maduro non avrebbe più il pieno controllo su una infrastruttura-chiave quale quella elettrica. Non è più necessario far saltare tralicci o avvelenare materialmente gli acquedotti per indurre la popolazione alla disperazione, spingendola a ribellarsi contro il “regime”. «È una cosa mai successa, dalla Barcellona repubblicana martirizzata dagli italiani, alla Roma fascista colpita dagli Alleati, dal Vietnam comunista alla Serbia di Milosevic», scrive Carotenuto. Ma in ogni conflitto si trova sempre «chi è disposto a spergiurare che basti un po’ di disperazione in più», da parte dei civili che si pretende di salvare, «per far trionfare il bene». E ora, nonostante «la cosiddetta crisi umanitaria», sembra che qualcuno si sia convinto che i venezuelani «non siano ancora sufficientemente disperati».


Oggi infatti basterebbero poche righe di codice per “spegnere” un paese intero, continua Carotenuto. «Quelli che plaudono al “regime change” saranno contenti, no? Niente bombardamenti, niente stivali sul terreno, stesso risultato». La storia peraltro si ripete: «Nel 1973 in Cile i sindacati statunitensi finanziarono lo sciopero dei camionisti (che più scioperavano più guadagnavano) che impedì per settimane gli approvvigionamenti, alimentando l’idea di caos contro il governo Allende», in vista del golpe militare dell’11 settembre attuato da Pinochet. Fin qui, premette Carotenuto, ognuno la pensi come gli pare. Ci sono però dettagli che appaiono «inesorabilmente repellenti». Per esempio: l’onnipresente senatore repubblicano Marco Rubio – che nei giorni scorsi era a Cúcuta – “vanta” che il blackout, da lui annunciato in mondovisione appena tre minuti dopo il suo inizio (praticamente una rivendicazione) avrebbe causato la morte di 80 bambini prematuri in un reparto neonatale a Maracaibo. «I media italiani riprendono Rubio senza verifica alcuna, e non hanno alcuna capacità o voglia di collegare l’attivismo del senatore con la semi-rivendicazione del blackout stesso, come se questo fosse un osservatore neutrale».

Se però la presunta morte dei neonati – smentita da fonti locali – fosse davvero dovuta all’attacco informatico statunitense, e non «alla leggendaria insipienza chavista», questo cambierebbe radicalmente le cose: «Sarebbe un giusto prezzo da pagare alla liberazione del Venezuela?». Gli 80 neonati in quell’ospedale dello Zulia sarebbero ufficialmente “danni collaterali” di una guerracombattuta innanzitutto con l’ipocrisia, sottolinea Carotenuto. «Rubio infatti usa la notizia dei neonati morti per rilanciare la necessità di far entrare subito in Venezuela aiuti umanitari». Va per la sua strada, Rubio: il Venezuela è un paese in crisi umanitaria e noi dobbiamo fare entrare gli aiuti umanitari. Tradotto: «Questa è una guerraumanitaria del bene contro il male, non dimenticate. Se l’uomo nero fa morire i neonati, allora arriverà l’uomo bianco a salvarli». Peccato per il senatore Rubio – aggiunge Carotenuto – che gli Usa non siano esattamente un regime totalitario (non lo è neanche il Venezuela) e vi sia ancora una stampa libera. Proprio il “New York Times” ha infatti dimostrato inequivocabilmente quanto era chiaro da subito: «Gli aiuti di Usaid del 23 febbraio furono bruciati ancora in territorio colombiano da uomini di Guaidó perché il circo mediatico internazionale incolpasse Maduro. Cosa che puntualmente accadde».

Prove incontrovertibili, filmate: alla frontiera di Cúcuta «è stata organizzata una messa in scena della quale Guaidó, Rubio e il presidente colombiano Duque sono i primi responsabili». E qui, conclude Carotenuto, aiuti umanitari e blackout convergono: gli 80 neonati morti (presunti tali) sono vittime della famosa “inettitudine criminale” del governo chavista o della guerra asimmetrica denunciata proprio da Maduro? E gli aiuti bruciati da Guaidó in Colombia per demonizzare Maduro, a chi vanno addebitati? «Il fatto che gli stessi benefattori li abbiano distrutti, non avvalora la tesi di Maduro che fossero un cavallo di Troia?». E ancora: la classica retorica degli aiuti umanitari (notare: solo in Venezuela, mai ad Haiti, in Honduras o in altri paesi sudamericani altrettanto dolenti) come si concilia con il blackout “umanitario” e quegli 80 bambini che ci dicono morti come danno collaterale? Sulla sua pagina Facebook, Giulietto Chiesa ricorda che una situazione come quella riproposta in Venezuela compare nel film “Snowden”, di Oliver Stone, uscito due anni fa. E’ lo stesso Snowden a raccontare che, un certo giorno, qualcuno della sua squadra di super-hacker fece un errorino e “spense” la Siria. «Accadde nel 2012. Sembrava fantascienza, anche se Snowden non scherzava affatto».

Fonte: www.libreidee.org

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